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La Letteratura degli italiani dell’Adriatico Orientale Versione stampabile

Italianistica, Letteratura italiana, Libri

Nel mio libro Ginnastica d’epoca fredda (Edizioni Historica, Cesena 2009), ho affrontato uno spazio storico-geografico della nostra Letteratura che probabilmente molti italiani non conoscono adeguatamente: la Letteratura prodotta, fra il secolo XIII e il XX, dagli scrittori italiani d’Istria, Quarnaro e Dalmazia.

Il volume comprende l’eponimo racconto (sempre mio), ambientato nel goriziano sloveno ma riguardante un italiano istriano, e tale racconto di fantasia era seguito da ben due appendici (una mia, quella di cui parliamo, ed una, storica, di Gianclaudio de Angelini), oltre ad una mia nota critica al racconto e ad una postfazione al racconto stesso (a cura di Gianfranco Franchi).

Ho pensato di illustrare ai lettori di Italianisticaonline il contenuto dell’appendice da me scritta, intitolata La Letteratura degli italiani d’Istria, Quarnaro e Dalmazia – un breve sguardo. Vi propongo inoltre una mia ipotesi, che reputo estremamente verosimile, giuntami in cuore mentre esaminavo i testi: la mole di opere (di un certo livello, dico) scritte dai nostri connazionali autoctoni di quelle Regioni è tale da esser confrontabile, forse, solo con la Sicilia, la Toscana o la Lombardia!

L’italiano, in quanto lingua franca o meglio lingua veicolare dell’intero Mare Adriatico, è stato infatti il protagonista anche e forse innanzitutto delle Lettere scaturite, dal Basso Medioevo al Novecento, soprattutto dalle coste, le penisole e le isole che frastagliano le sue sponde d’Oriente, partendo da Muggia fino a giungere quanto meno al ragusano (Ragusa di Dalmazia è il nome italiano corrispondente a quello croato di Dubrovnik: anche in inglese il toponimo resta appunto Ragusa).

Ciò starebbe a dire (vi chiederete ora) che quelle Regioni siano state, per almeno mezzo millennio, essenzialmente delle Regioni italiane uguali alle altre peninsulari – il Piemonte, l’Umbria, la Campania… – almeno per quanto riguardava la maggioranza delle opere letterarie che vi venivano scritte? Sí, confermo, ma con la non minima differenza che Istria, Quarnaro e Dalmazia, contrariamente alle altre Regioni italiane, hanno anche avuto sempre (a partire dai secc. VI-VII d.C.) una altrettanto stabile e territorialmente diffusa presenza di popolazioni slave (sloveni e croati, diciamo giustamente ora: illirici e/o genericamente schiavi, come si diceva in Italia nel Medioevo).

Insomma, riassumendo l’epoca che va dal XIII a parte del XX secolo, la metà circa di quelle Regioni era italiana: parlava l’italiano, l’istroveneto o il veneziano e/o loro derivazioni e scriveva in volgare o in latino, poco nelle lingue neoslave e qualcosa in dialetto, le cui influenze grafiche e lessicali però spesso si facevano sentire anche sull’italiano. L’altra metà era neoslava: parlava e/o scriveva in dialetti come il ciacavo o lo stocavo e/o scriveva in un croato o in uno sloveno paragonabili al nostro volgare.

Gli italiani vivevano soprattutto lungo le coste, nei centri urbani piú popolosi, mentre i neoslavi nell’entroterra. Gli italiani costituivano la maggioranza dell’aristocrazia e dei proprietari terrieri, dell’alta e media borghesia; i croati e gli sloveni, in genere, invece appartenevano ai ceti medio-bassi: erano agricoltori, pastori, pescatori, artigiani, piccoli commercianti (questo fatte salve delle eccezioni, numerose in alcuni luoghi, come Ragusa).

Si creò dunque, nell’epoca di cui trattiamo, la Grande Spaccatura, dalla quale solo i benestanti e i chierici potevano allegoricamente avere della prole scritta: la spaccatura fra gli alfabetizzati e gli analfabeti. Le fusioni interetniche, invece, parlando di sangue, sono testimoniate sin da epoche remote, nonostante una certa ritrosia dei ceti alti italiani ad accettare unioni con slavi privi di titoli nobiliari o di capitale. Riguardo ai testi scritti della nostra area, va comunque rilevato quanto segue:

  1. Le lingue italiana e neoslave si formavano parallelamente, dal sec. XIII in avanti, entrambe attingendo a precedenti testi, rispettivamente protoslavi e protoitaliani; ma mentre gli italiani, nel crearsi faticosamente una lingua comune, facevano riferimento anche e soprattutto al latino, oltre che alle parlate locali neolatine (qui soprattutto il veneziano e l’istroveneto), gli slavi attingevano alle proprie parlate locali e a quelle provenienti dall’entroterra (dove di italiani non ce n’erano) ed anche, in misura minore, al volgare italiano della Penisola Italiana, già allora piuttosto noto nell’intero Mediterraneo – e nell’Adriatico ancor piú per via della potenza politico-economico-militare veneziana. Infatti sono molte le contaminazioni romanze dei testi slavi medievali dell’area e sporadiche, seppur presenti, quelle slave nei testi in volgare italiano delle medesime zone.
  2. Il latino si affiancava, in quanto lingua franca o meglio direi gergale delle persone colte, all’italiano-veneto della burocrazia veneziana. Chi sapeva scrivere, insomma, ed aveva degli interessi specificamente letterari, scriveva anche in latino, qualunque fosse la sua etnia d’appartenenza. Solo in certi casi, dunque, anche se questi rappresentano la maggioranza assoluta, possiamo esser certi della effettiva e profonda, praticata quotidianamente appartenenza etnica di alcuni autori – al di là dei loro estremi anagrafici, poiché, anche se di rado, ad un nome e un cognome pienamente italiani poteva corrispondere uno scrittore di madre lingua slava e viceversa. Queste sono terre di mescolanze ed ibridazioni, di famiglie che discorrono in tre lingue a pranzo, di minoranze antichissime rumene e bulgare, di contaminazioni frequentissime ed abituali – ovviamente, non è che un italiano rifiutasse di far lucrosi affari con un croato solo per questioni di lingua e viceversa: e se uno dei due contraenti di un accordo orale non sapeva la lingua dell’altro si creavano delle commistioni linguistiche, dei gramelot, diremmo alla maniera di Dario Fo, o degli Europanto, per citare Diego Marani. Meglio ancora ricorderemmo certe battute del personaggio Cosimo di Rondò nel Barone rampante di Italo Calvino: ”Yo quiero the most wonderful puellam de todo el mundo!”.
    Inoltre, bisogna considerare i nomi accademici, tutti indistintamente in latino, oltre al fatto che, spiritualmente, la rievocazione e l’ispirazione della classicità greco-latina accomunavano ogni sorta di letterati ovunque in Europa, dunque anche qui.
  1. Per uscire dal discorso distintivo delle lingue.
    In Istria, Quarnaro e Dalmazia (disse anche Bruno Maier), il Classicismo storico settecentesco rimase piú fortemente radicato nella Letteratura locale, rispetto all’Italia o, mettiamo, all’Austria, dove si fecero strada con piú forza il Romanticismo ed addirittura le influenze simboliste e parnassiane francesi, l’ossianesimo e il neogotico nordici. L’Adriatico Orientale, ciò vale a dire, non ha interrotto come altrove la linea d’ispirazione classica e classicistica dell’Umanesimo, l’ha sviluppata anzi, sovente, direi solo mantenuta, unendola ad altre fonti d’ispirazione locali (spesso provenienti non solo dalla propria etnia).
    Questo non toglie che scrittori come il tardocinquecentesco Giovan Francesco Biondi abbiano aggiunto qualcosa, appunto, al genere romanzo, pubblicando in italiano una trilogia di narrazioni lunghe come quella composta dall’Eromena, La donzella desterrada e Il Coralbo, le quali creavano il nuovissimo genere del romanzo eroico-galante (come giustamente nota lo storico della Letteratura italiana fiumano Giacomo Scotti), o che degli elementi di Romanticismo fossero presenti nel senso profondo delle opere del poeta e prosatore satirico Pasquale Giuseppe Besenghi degli Ughi.

Cionondimeno, la Letteratura italiana di quest’area resta sempre saldamente ancorata a dei valori estetico-formali di derivazione classica, guai a non sottolinearlo.

In chiusura, va ricordato qualche particolare a mo’ di didascalia, affinché sia chiaro quanto uniforme alla Letteratura della Penisola Italiana spesso sia stata (e, anche, sia oggi), per altri aspetti, quella scaturita da questa sponda dell’Adriatico: la prima traduzione italiana della Teogonia di Esiodo venne eseguita dal capodistriano Gian Rinaldo Carli; lo scrittore cinquecentesco Girolamo Muzio (nato a Padova ma originario di Capodistria), precettore di Torquato Tasso, fu uno dei sostenitori dell’utilizzo da parte di tutti i letterati italiani del volgare (insieme al piú noto Gian Giorgio Trissino); le accademie capodistriane iniziarono a sorgere nel 1478 (la prima, fondata in quell’anno, fu la Compagnia della Calza).

Piú Italia di cosí…

Approfondimenti in rete

  • Elsa Gregori, Storia della letteratura istriana dal sec. XII al XX, IstriaNet, 6 novembre 2001; ultimo aggiornamento 24 aprile 2009.
  • Anita Clara, Le lettere slovene [recensione a Tatjana Rojc, “Le Lettere Slovene dalle origini all’età contemporanea”, GoriÅ¡ka Mohorjeva družba, Gorizia 2005, pref. di Cristina Benussi], “Osservatorio sui Balcani“, 3 giugno 2008.
  • Subhaga Gaetano Failla, L’Io diviso da un confine: note sul racconto di Sergio Sozi “Ginnastica d’epoca fredda”, “Via delle Belle Donne“, 9 luglio 2009.
  • Sergio Montagnoli, Recensione a “Ginnastica d’epoca fredda”, “Kultunderground“, 15 luglio 2009.
  • Sergio Montagnoli, Intervista a Sergio Sozi, “Liberolibro“, 20 luglio 2009.

L’Autore

Sergio Sozi, critico letterario, narratore e poeta, è nato a Roma nel 1965 e ha vissuto a Spello, Perugia e Capodistria. Attualmente risiede a Lubiana, dove lavora nel campo della cultura, occupandosi di giornalismo culturale, insegnamento della lingua italiana e traduzioni. Collabora con le maggiori case editrici slovene e scrive su giornali e periodici. Prima di Ginnastica d’epoca fredda, ha già pubblicato in volume: Oggetti volanti (poesia, Perugia, Fra.Ra., 2000); Il maniaco e altri racconti (narrativa, Roma, Valter Casini, 2007). Il suo prossimo libro si intitolerà Il menu ed uscirà nell’autunno del 2009 per l’editore romano Castelvecchi.

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